Il corpo docente

Con il termine “corpo docente” ci si riferisce all’insieme di insegnanti, educatori, professori che hanno la responsabilità e il compito di insegnare ed educare, di trasmettere  conoscenze e sviluppare competenze.

In questo contesto vorrei invece affrontare la questione del corpo docente  in una direzione diversa, in un’ottica cioè psicomotoria  che supera la visione falsamente neutra di “corpo docente” e parlare piuttosto di “corpo del docente”, con la sua pluralità di linguaggi e codici. Quando  parlo di corpo docente io vorrei partire dall’assunto che laddove esiste il corpo del bambino, là c’è anche il corpo dell’insegnante, un corpo con un’identità di genere, caricato di pensieri, valori, atteggiamenti e stereotipi.

Come già sostenuto in precedenza il corpo è molto importante nella relazione pedagogica:

la comunicazione tra insegnante e allievo avviene non solo attraverso il linguaggio verbale, cognitivo, ma soprattutto attraverso il linguaggio corporeo. C’è il linguaggio corporeo dell’adulto, il linguaggio corporeo del bambino e l’interazione dei due linguaggi.

E’ evidente come qualunque lavoro pedagogico passi attraverso l’interazione psico-corporea, attraverso il linguaggio del corpo e del gesto, della mimica, della postura e della presenza, dell’ascolto e dell’empatia.

Giocando con le parole mi piace  anche dire che “il corpo è docente”; infatti  assume un’enorme importanza nella relazione in quanto ha moltissimo da insegnare, informazioni importanti da veicolare, saperi da trasmettere, esperienze da comunicare, vissuti da condividere.

Il corpo dell’insegnante diventa il focus nella relazione educativa, per cui sarebbe auspicabile, direi anzi necessario che ogni insegnante-educatore prestasse molta attenzione alle modalità e agli atteggiamenti corporei spesso automatici e poco consapevoli. Nelle aule scolastiche l’insegnante interagisce  con il suo corpo  e con l’immagine del proprio sé corporeo, frutto di elaborazioni, di scambi affettivi, di uno sviluppo nel tempo ed espressione di rappresentazioni. Egli entra in classe con un corpo che ha una sua storia, un suo vissuto e  che è depositario di esperienze passate  registrate a livello inconscio, che ha  una sua espressività. Per potersi  collocare a fianco del bambino in un’attività educativa significativa, l’insegnante  dovrebbe  quindi  avere  una buona percezione  e una reale presa di coscienza del proprio corpo ed essere  consapevole dei messaggi che ne derivano e che trasmette.

In una relazione educativa è quindi fondamentale avere un certo grado di consapevolezza di sè per non proiettare all’esterno e vedere nell’altro ciò che appartiene solo a noi. E’ necessario avere chiaro “chi sono, cosa appartiene a me a all’altro, come posso aiutare l’altro a sviluppare le sue capacità e potenzialità” senza invasioni di campo.

“La cultura” non ha abituato il corpo docente  a mettere attenzione su come si  sentono, su cosa  succede nel loro sentire corporeo mentre svolgono  la loro professione. Spesso nell’ambito della scuola, l’attenzione prevalente è proiettata verso il mondo fuori, alle attività e ai contenuti da trasmettere; il “sentire”, inteso come consapevolezza  di ciò che avviene, di avvertire emozioni, affetti e sensazioni fisiche veicolate dal corpo, non ha uno spazio sociale come se non facesse parte della relazione educativa. Invece sono proprio questi gli elementi che possono portare un’insegnante in un processo personale e professionale a comprendere  stati di difficoltà, di malessere o di paure del bambino che ha di fronte e stabilire una comunicazione chiara ed empatica.

Quanti insegnanti sono consapevoli e pongono come centralità relazionale la corporeità con le sue implicazioni psicoaffettive, personali e del bambino?

Quanti sono consapevoli e attenti dei diversi parametri psicocorporei che sono mediatori importanti nella relazione con il bambino: il tono, la postura, la voce, lo sguardo, il gesto?

L’obiettivo sarebbe  allora che il corpo docente si  riappropriasse di un “sentire” consapevole che sa distinguere ciò che è proprio da ciò che è dell’altro, che conosce le proprie fragilità, i limiti della storia personale, ma anche le proprie risorse. E questo è possibile mettendosi in un ascolto attento della propria corporeità facendo attenzione alla propria espressività corporea, alla postura, al modo di muoversi e spostarsi nello spazio, ai comportamenti e atteggiamenti, per fornire una comunicazione chiara affinchè la gestualità veicoli un messaggio inconfondibile e perché vi sia una coerenza tra il messaggio verbale e quello corporeo. Quante volte accade che il messaggio corporeo  non supporta né conferma quello verbale! Quanta ambiguità inconsapevole che crea ambiguità e difficoltà nella comunicazione!

Nella scuola e nei contesti educativi in generale si avverte sempre più  l’urgenza di reimparare ad ascoltare il linguaggio della comunicazione autentica: il linguaggio del corpo e del gesto, della postura e della presenza, dell’ascolto e dell’empatia.

 

Annalisa De Nardo, psicomotricista e formatrice